IL MIO ASHTANGA

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Target: Ashtanga Lovers

99% di pratica, 1% di teoria.

Qualche anno fa ero in vacanza in Francia, in un paesino molto conosciuto per il freeride.
Dopo un viaggio lunghissimo e sotto la neve, ero affaticata, così decisi di fare quattro passi verso il centro per rilassarmi prima di cena. Mi imbattei in una coda di gente con il proprio tappetino arrotolato sotto l’ascella come fosse una baguette, che aspettava al freddo all’esterno di una piccola Shala dove una lezione di yoga stava terminando.
Sbirciai incuriosita nelle luce tenue e calda che veniva da dentro, e ci vidi un maestro dal sorriso gentile che mi faceva cenno con la mano di entrare.
In un misto di anglofrancese gli chiesi se si poteva partecipare alle lezioni e lui rispose: “bien sur”, domani mattina alle 8 c’è una lezione Mysore di Ashtanga.
“Cavolo! Io non so la sequenza” pensai, e quasi mi avesse letto nel pensiero, sorridendo mi disse che se per caso non conoscevo la sequenza a me ci avrebbe pensato lui.

E così fece.
E non solo quel giorno. Perché lui continua a “pensare a me” anche oggi, dopo molto anni.
Se realizzo che fortuna ho nell’averlo incontrato, mi rendo conto che è proprio vero: il Maestro arriva a te quando sei pronto.
È successo allora, è successo anche un mese fa.


Ripensando a quella sera, ancora mi si stampa un sorriso enorme sulla faccia.
Perché se oggi pratico con costanza l’Ashtanga, nonostante tutto, è merito suo.

L’ashtanga si fa così.
Il Vinyasa non è un’opzione. Chakrasana non è un’opzione.
Così si fa, è tutto scritto nero su bianco, così deve essere fatto. E quello che ti viene richiesto è esattamente il tuo meglio, il meglio che puoi fare in quel momento, niente di più. 
Non è importante dove vai, quante posture fai, è una questione di focus, di consapevolezza, di presenza. 
“Just do one breath at the time”, questo me lo ha detto anche qualche giorno fa, mentre lottavo sul tappeto di cotone per non scivolare.
Quando fai l’Ashtanga, fai l’Ashtanga. Non ci sono scorciatoie. Ci sono regole ferree da seguire. Niente vie di mezzo, niente posture in saldo, niente sconti.
Fissa quella cosa, fissa il respiro. Punto. Questo è lo yoga. (cit. Hubert de Tourris).

All’epoca non capivo. Come tanti ero attratta dalle forme scenografiche che il mio corpo riusciva ad assumere, non senza uno sforzo immane. 
Mi interrogavo spesso sul perché tornassi ancora a fare una pratica così dura che mi stava regalando dolori pungenti ai muscoli e dubbi amletici su quanto potesse realmente far bene ad una schiena con due fratture.
L’ho abbandonata spesso, a favore di pratiche più leggere, per scelta o per paura o, ancora, per necessità.
Mi ha relegato a letto per tre mesi per aver forzato troppo e troppo presto. Mi ha prosciugato ogni energia.
Ma come ha detto Hubert quel giorno, “però continui a tornarci”.
Eh sì. Continuo a tornarci, mannaggia.
La pratica dell’Ashtanga Yoga ha in sé un fascino profondo, di un insegnamento duro e puro che deriva da così lontano, e che una volta che ci sbatti il naso dentro, non puoi fare a meno di amare.
Con le regole sono sempre stata brava. Magari brontolavo e giravo borbottando per la mia comfort zone dicendone di ogni, ma le ho sempre seguite da primetta della classe.
Lo stesso vale per le cose difficili. Mi lamento sempre che tutto è complicato e poi vado a scegliermi inevitabilmente la cosa più lunga e complessa da seguire.
Ma non credo sia masochismo. Credo sia più una sorta di volersela guadagnare.
Così è per me l’Ashtanga. Vorrei sapermi guadagnare l’onore di poter stare su quel tappeto con impegno e dedizione, fiera del fatto non tanto di saper praticare una o l’altra funambolica postura, ma di comprendere che l’evoluzione di chi io sono è solo in mano mia. 
Fiera di aver fatto della mia patologia la mia forza. Consapevole che solo la forza creata SUL tappeto sostiene i miei giorni FUORI da quel tappeto.


Lino Miele dice che non si insegna la postura, si insegna il rapporto, l’incoraggiamento, il capire. Ognuno deve trovare la propria chiave. E se non c’è sforzo, se non c’è l’impegno sufficiente, se non si lavora col dolore, sul dolore, non ci può essere il beneficio.  Non si impara a gestire niente. Solo così la mente diverrà lucida, pulita, precisa. 


Il “mio” Ashtanga mi ha insegnato il rispetto, la non violenza, la pazienza. Tutto a scapito della mia schiena e di qualche mal celata crisi di nervi. :-))
Il mio Ashtanga di oggi mi sta insegnando a lasciare andare. 
Sei pronto a scoprire cosa deve insegnarti il tuo?
Allora “fai la tua pratica, e tutto verrà” (Sri K. Pattabhi Jois)

Auguro ad ognuno di voi pace, salute e serenità.